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Il garante di giustizia

Potrebbe sembrare scontato che un magistrato sia garante di giustizia, ma nel caso del Procuratore P. Luigi Pianta questa definizione assume una accezione piena, dopo l’interessantissima relazione tenuta presso la sede del Club.

Autorevole nella interpretazione del suo ruolo, calato nel tessuto del territorio e profondo conoscitore delle complesse dinamiche  che sottendono  le vicende umane.

La giustizia penale lavora soprattutto per tutelare le persone offese, anche se la persona offesa per eccellenza nei reati è lo Stato, che è leso da ogni condotta vietata dalla legge, ma il magistrato deve anche tutelare le garanzie di libertà personale, di riservatezza, tutta una serie di diritti delle persone che subiscono violenza, lesioni, furti, danni al patrimonio.

Il magistrato deve anche possedere quella sensibilità per quei reati che non colpiscono direttamente le persone fisiche, ma che provocano un danno generale al benessere del paese, come i reati contro l’ambiente, di riversamento sostanze inquinanti che avranno un grosso impatto anche sulla salute e un costo elevato di bonifica.

Il Dott. Pianta, 20 anni come giudice e 14 come pubblico ministero, riconosce di non essere sfiorato dalla polemica sulla divisione delle carriere, anzi ritiene sia stata molto formativa l’esperienza su entrambi i versanti, quello giudicante e quello requirente, perché questo cambio di prospettiva ha completato la sua competenza e il suo equilibrio di magistrato.

Mentre col vecchio codice il pubblico ministero sedeva a fianco dei giudici, ora ha un  ruolo di parte processuale, come se fosse l’avvocato dell’accusa, ci sono da una parte le difese, gli avvocati, i consulenti, gli imputati e dall’altra parte il pubblico ministero, mentre  il giudice mantiene un ruolo più classico di imparzialità e di terzietà.

Il giudice è veramente staccato, vede di capire qual è la soluzione più corretta, quale modello teorico si può applicare al caso concreto, a differenza del pubblico ministero che deve da un lato coordinare le indagini, dirigere la Polizia Giudiziaria, a lui sottoposta e quella esterna, per raccogliere le notizie di reato, eseguire i primi interventi. Una attività molto veloce, immediata. In quel momento sta a lui decidere se lasciare la scena così com’è perché si veda se ci sono delle tracce o di un certo tipo non ci sono. 

A volte un errore in queste fasi di attività investigativa può poi segnare la buona riuscita di un’indagine. A volte anche solo il eseguire delle intercettazioni urgenti può essere decisivo, così come disporre dei blocchi stradali per evitare la fuga o bloccare immediatamente le videocamere prima che vengano sovrascritte in modo da vedere se ci sono degli elementi da raccogliere.

Tutte attività molto veloci che occorre fare in tempi molto molto brevi. E’ una intensa  attività investigativa che occupa il magistrato e lo tiene molto impegnato e anche emotivamente coinvolto.

A fianco di questa c’è poi una attività più intellettuale, più speculativa, che è quella della valutazione degli elementi, raccolti nell’ambito dell’istruttoria, che poi possono o non possono servire per andare a giudizio, in cui non è detto che l’imputato sia condannato, però la sostanza è che le prove siano il più possibile valide a formulare un giudizio di reato.

Colpi di scena nell’ambito dei processi ce ne sono tantissimi perché a volte i testimoni non confermano quanto detto in fase istruttoria, magari vengono tirate prove che non erano state prese in considerazione prima.

Ci sono degli eventi che, avendo avuto un grande impatto sociale, richiedono un’indagine approfondita, anche se s’intravede che non vi sono elementi evidenti di dolo o negligenza.

Ci sono casi di un mala gestione da parte di un’amministrazione comunale, per distrazione, per non essere particolarmente preparati dal punto di vista tecnico, che emergono a distanza di anni in cui il reato è prescritto.

Ci sono comportamenti riconosciuti come reato dalla nostra giurisdizione ma non dal contesto culturale in cui sono stati espressi, come la poligamia, la violenza sulle donne, l’imposizione di matrimoni combinati con minori.

Nell’amministrazione della giustizia ci degli obblighi deontologici, dei doveri di segretezza, di riservatezza , di etica, di decoro, di contegno che non sono solamente frutto di un’imposizione di legge, ma che sono corollario del come si deve fare questa professione o come si deve stare all’interno di un processo.

Nel momento in cui s’indossa la toga si deve essere consapevoli che in quel momento non si è la persona fisica col proprio nome e cognome, ma si è il rappresentante di un qualcosa di diverso, si è garanti della giustizia.