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Intervista al Dott. Martino Trapani

… siamo costretti a scegliere non nel  chiaro meriggio della certezza, ma nel  crepuscolo delle probabilità

John Locke, medico e filosofo

Come ricorda l’impatto del Covid sul sistema sanitario che lei gestisce?

All’improvviso, la sera di giovedì 20 febbraio siamo stati investiti da un evento, dalla portata mondiale, totalmente nuovo e inaspettato che ci ha costretto a trovare soluzioni straordinarie per arginare la pandemia, azioni necessarie, molto dure e difficili. Non esisteva per nessuno il “senno di poi”, ma l’urgenza del momento, la necessità di trovare respiratori, mascherine, guanti, camici e dispositivi di protezione.

E’ stato quindi uno tsunami che ha investito tutta l’organizzazione sanitaria.

Anche chi era abituato a lavorare in reparti diversi, ha dovuto reinventarsi una nuova mansione, perché in quel momento serviva forza lavoro nelle terapie intensive, nei reparti di pneumologia o nelle malattie infettive. Purtroppo il Covid si nascondeva negli asintomatici, e non smetteva di essere pericoloso. Seppur concentrati sugli aspetti prioritari dell’emergenza, abbiamo comunque continuato a garantire la cura e l’assistenza anche per le altre patologie urgenti. Abbiamo dovuto impostare strategie, decidere approcci organizzativi e clinici, fare delle scelte con pochissimi elementi, senza riferimenti certi, prevedere scen ari poco prevedibili. In pochissime settimane abbiamo chiuso alcune attività sanitarie, aperto nuovi reparti, acquistato apparecchiature tecnologiche, creato percorsi ad hoc sulla base del rischio infettivo in continua evoluzione.

Quali sono stati gli interventi che ricorda con particolare orgoglio?

Uno è quello della comunicazione. Il Covid non è stato solo emergenza sanitaria ma soprattutto isolamento, perdita della relazione. Per questo i reparti sono stati dotati di un adeguato numero di dispositivi (tablet e cellulari) utilizzati per favorire la comunicazione e mantenere il contatto tra il paziente e i propri familiari . L’altro è l’attivazione di nuovo modello di screening del coronavirus, con un pit-stop, in cui il tampone orofaringeo veniva effettuato direttamente dalla propria vettura, evitando così ogni contatto con l’esterno o con gli operatori sanitari.

Quali considerazione ha tratto da questa esperienza?

Il Covid ha mostrato che gli ospedali sono in grado di rispondere se esiste una rete capace di adattarsi per rispondere meglio alle esigenze dei pazienti. E’ necessario un repentino cambio di modelli organizzativi, associato a un ripensamento nella gestione degli spazi. I pazienti ricoverati con età molto alta, con una o più cronicità, fragilità fisica ed emotiva, sono i soggetti cui l’ospedale deve dedicare maggiore attenzione. In seguito devono essere trasferiti in strutture che garantiscano la continuità di cure intermedie. L’ospedale del futuro quindi dovrà essere in grado di trasformarsi garantendo la normale operatività e soprattutto proteggendo la salute degli utenti, al mutare delle esigenze sociali, economiche, ambientali ed epidemiologiche del contesto in cui è inserito.