‘La parte più importante della mia vita è maturata interamente nella realtà della Televisione Pubblica, un percorso che ha assorbito tutti i miei interessi. Sono stati anni dedicati ad acquisire nuove competenze nelle aule della Scuola di Formazione Giuridica in Roma e del Politecnico di Milano, fino a un Executive Master in IT Governance & Management presso la Luiss Business School. Sono stati anche anni stimolanti, in cui ho avuto modo di conoscere persone che hanno favorito la mia crescita e l’apertura mentale nei confronti delle idee nuove”.
Son queste le prime parole di presentazione di Nicoletta che, con modestia, aveva premesso quanto fosse difficile parlare di se stessi per il rischio di una prospettiva troppo personale.’
Quell’ intenso periodo di formazione ha sicuramente fagocitato tutti i suoi interessi, ma non i desideri sopiti più profondi, che hanno avuto completa espressione in occasione della pandemia, in cui l’attività in smart working le ha permesso di avvicinarsi ad associazioni come la S. Vincenzo, l’Associazione Culturale e la Corale parrocchiale, dove ha potuto vivere profondamente relazioni interpersonali, sperimentare affetto, amicizia, complicità, che in precedenza aveva sacrificato per necessità di crescita formativa.
Questa la sua presentazione a libro aperto cui è seguita una carrellata di immagini che appartengono al nostro immaginario e alla nostra memoria: il centro di produzione della Rai di via Teulada a Roma, di via Verdi a Torino, di Corso Sempione a Milano, il centro di Napoli Marconi. La storica sede radio di Via Asiago a Roma e il famoso Cavallo della Rai quello ‘seduto’ di Viale Mazzini e quello alato di Saxa Rubra. Il Museo del nostro immaginario infantile, le famose Teche della Memoria e il Museo torinese della Radio e della TV.
Un intero paese che si è ritrovato attorno a questa istituzione che ha insegnato una lingua comune, una cultura e , a volte, ne ha assecondato gusti e tendenze.
Gustoso il gossip relativo al cavallo di Via Mazzini, simbolo della Rai, che da cavallo ‘rampante’ divenne cavallo ’morente’ per il precario stato di conservazione della scultura, forse alludendo metaforicamente anche allo stato di salute della struttura asservita a logiche di partito.
Oggi invece, il rilancio dell’azienda lo ripropone come simbolo di libertà e forza riportandolo al suo significato originario.